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Attendiamo... con Maria
Holman Hunt, Gesù ritrovato frai i dottori nel Tempio, 1854


“Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava (…) Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso.”
(Tratto dal Vangelo di Luca 2,46-51 – Gesù fra i dottori del tempio e suo ritrovamento)

Ciò che catalizza l’attenzione in questo scorcio del brano di Luca è il dialogo fra la madre ed il figlio. E il contesto in cui si svolge questo dialogo è un viaggio…. La famiglia è in pellegrinaggio verso Gerusalemme per la Pasqua: una famiglia abituata ad essere in cammino…. Nazaret, Betlemme, l’Egitto, Gerusalemme e ancora Nazaret… la dimensione del “pellegrinare” fa parte dell’infanzia di Gesù e diventerà la modalità della sua missione che lo vedrà “viandante” per le terre della Palestina.

Ma qui accade qualcosa di particolare: Gesù prende coscienza di sé in modo più consapevole, comincia ad intuire la propria identità, ma ha bisogno di metterla alla prova, di verificarne la forza. Si ferma con i dottori della legge, li ascolta, li interroga; tutta passa in secondo piano rispetto a ciò che ha scoperto e vuole viverlo, subito. L’impeto dell’adolescenza e della giovinezza prende il sopravvento.
Ecco che a rompere questo entusiasmo giovanile, arriva come un lampo sottile la voce della madre «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».
Gesù non rinuncia a rispondere e lo fa con la forza della sua adolescenza, tuttavia le parole della madre hanno l’effetto di riposizionarlo ed egli torna a casa con loro. Gesù impara da sua madre che è necessario “attendere”, che è necessario restare fedeli a quel momento storico a quel padre “putativo” e a quella famiglia, perché è lì che la sua identità deve maturare e fortificarsi.
Maria, donna dell’attesa, insegna al figlio la preziosità del “saper attendere”, perché ogni missione, per quanto ispirata da Dio, ha bisogno di preparazione. Dal tempo dell’attesa dipende la fecondità del cammino e non si può essere veri viandanti o pellegrini senza essere uomini e donne capaci di abitare il tempo che precede l’inizio del viaggio.




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